“Finalmente ce l’abbiamo fatta”. Anche quando Davide e Francesca non sono in giro per il mondo, parlare con loro è quasi un’impresa. Hanno fatto una scelta sette anni fa: basta pagare affitti e bollette. Davide ha comprato un camion, insieme a Francesca lo hanno “camperizzato” e ne hanno fatto la loro casa. Mobile. Dal 2009 vivono in viaggio e regalano il cinema agli abitanti dei villaggi più isolati del mondo. Stanno lontani dall’Italia 8, 9 mesi l’anno, poi tornano: fanno piccoli lavori e organizzano eventi di finanziamento, oltre a campagne online. Così raccolgono il denaro necessario per continuare il viaggio. “Abbiamo provato a fare i conti: Cinema del Deserto, il nostro progetto, ci ha fatto percorrere 90mila kilometri in tre continenti (Africa, Europa e Asia). Abbiamo raccolto oltre 27mila spettatori con una media di 40-50 film proiettati all’anno”.
Ci avevano provato a fare una cosa simile qui, in Italia: organizzare eventi gratuiti, mostrare video, non necessariamente film, ma “le regole erano troppo stringenti, ci chiedevano soldi per i diritti… insomma non poteva funzionare”. E allora via, prima tappa: l’Africa. Home, il documentario di Yann Arthus-Bertrand su ambiente e cambiamenti climatici è la storia con cui ha ufficialmente inizio Cinema del Deserto, a Timbuktu dove Davide e Francesca sono arrivati come membri della ong Bambini nel Deserto. “Quel film ci ha cambiato la vita – raccontano – ha influenzato tutte le nostre scelte, non potevamo che iniziare da quella storia”. I film che proiettano hanno sempre come tema il rapporto uomo-natura o lo sfruttamento delle risorse. E poi, naturalmente, ci sono i cartoni animati per i bambini.
Quello sulla tutela dell’ambiente è un discorso che gli sta talmente a cuore che anche il loro cinema sfrutta energia alternativa per funzionare, è un “cinema solare”. Il camion, oltre a essere la loro casa, dove cucinano, mangiano e dormono, è attrezzato di tutto: sul tetto ci sono i pannelli, un mini impianto fotovoltaico, e dentro una coppia di batterie che garantiscono almeno sei ore di proiezione. Così, non appena si fa buio, Francesca e Davide posizionano lo schermo su un lato del camion e si trasformano nei fratelli Lumière per il loro pubblico.
Per gli abitanti di alcuni villaggi, infatti, questo è il primo approccio con il cinema. “Un ragazzo una volta ci ha detto: ‘Grazie a voi ho potuto vedere cose che non conoscevo: il mare, le grandi città’. Un’altra volta invece un gruppetto di spettatori si è improvvisamente alzato e ha iniziato a correre e scappare via: ‘La scena era quella di un camion che passava sopra la telecamera. Credevano li avrebbe investiti'”. Per non parlare poi dei bambini. “A quelli africani abbiamo fatto vedere Kirikù. Erano così felici che la sera successiva hanno voluto rivederlo a tutti i costi”. Il fatto è che “noi viviamo in una società fatta di immagini, ma in molti dei posti in cui siamo stati quando parlavamo di cinema nessuno capiva cosa stessimo dicendo”. E non solo nei villaggi isolati della Siberia, Mongolia o Burkina Faso: “La Romania ci ha colpito tantissimo. Nonostante sia vicina a noi è un paese poverissimo”.
Davide e Francesca dicono che non è stato troppo difficile abituarsi a questo nuovo stile di vita “non più faticoso di qualsiasi altro cambiamento”. Nessun pentimento insomma, anzi “è quando torniamo in Italia che iniziano i problemi”. Dal più piccolo, dove parcheggiare il camion, al più grande, reperire i fondi per i viaggi successivi: “Le nostre casse sono sempre vuote”. Per quanto le loro spese siano ridotte al minimo (quasi l’80% del budget lo spendono per il gasolio) devono trovare fondi per mesi e mesi on the road. Ecco perché, anche quando tornano a casa, è sempre difficile incontrarli: “Cerchiamo lavoretti da fare e organizziamo eventi di finanziamento”. Rovereto, Milano e poi Bologna: sono queste le città che prossimamente vedranno Davide e Francesca impegnati in cene ed eventi per raccogliere fondi. “Appena rientrati dall’ultima spedizione in Asia, abbiamo ricevuto una mail da un festival sui diritti umani che si svolge dal 7 al 10 aprile al confine tra Marocco e Algeria. Vogliono che portiamo lì il nostro Cinema del Deserto“. Il tempo non è molto, per questo motivo stanno pensando di organizzare anche una campagna di crowdfounding online: “L’avevamo fatto anche per l’ultimo viaggio, utilizzando le piattaforme Produzioni Dal Basso e Indiegogo. Abbiamo ricevuto donazioni da ventisei Paesi, i più generosi sono stati americani, inglesi e norvegesi”. E gli italiani? “Con loro è più difficile, sono restii se non ti conoscono di persona”. Anche per questo, pensando al futuro, Davide e Francesca vorrebbero portare il loro cinema solare in giro per l’Italia, per farsi conoscere anche a casa. “Poi, magari, andare tra i bambini dei campi profughi di Calais. E l’Africa… il suo richiamo è sempre fortissimo”.
Davide e Francesca testano quotidianamente la potenza del cinema “è il mezzo perfetto per il primo approccio con le persone, ti permette di superare i limiti linguistici e culturali”, ma non sono gli unici. Ci avevano provato, sempre con progetti di cinema itinerante, pur rimanendo entro i confini nazionali, anche Lorenzo Garzella con la sua cine-bicicletta e Francesco Azzini con la sua Cortomobile, un’Alfa Romeo 2000 del 1974. Il progetto di Garzella, nato a Pisa, era legato al concetto di memory-sharing. Prevedeva, infatti, che ognuno, in sella alla propria bici, seguisse le tappe di un film itinerante sulla seconda guerra mondiale. Il proiettore era posizionato su una bicicletta e le immagini riempivano le pareti dei monumenti e palazzi della città, quelli di luoghi particolarmente significativi per la storia della Resistenza pisana. L’idea è stata esportata anche a Ferrara, Roma e Udine e la risposta della gente è stata così entusiasta che Garzella sta pensando all’evoluzione della cine-bicicletta: il cine-bus, sperimentato una sola volta . “Vogliamo utilizzare gli autobus rossi scoperti, quelli che fanno i giri turistici delle città. Le persone sedute saranno la nostra platea a cui mostrare, sempre a tappe, o immagini di storia della città o scene di film cult girate in quei precisi luoghi. Sul Colosseo, ad esempio ci sarebbero Alberto Sordi o il Gladiatore, sul lungotevere, James Bond”. Per i cinquant’anni dall’ultima grande alluvione dell’Arno, invece, con la Regione Toscana, stanno studiando l’idea di un cine-battello che racconti la storia di quei momenti sulle pareti dei palazzi sul lungarno.
La sala più piccola al mondo, quella a due posti costruita da Francesco Azzini sulla sua Alfa Romeo, è invece ferma in garage da più di un anno. Dal 2006, dopo oltre 400 tappe in tutta Italia, più di 120mila kilometri percorsi e oltre 20mila spettatori, “i soldi sono finiti. I festival, quelli cinematografici o di artisti di strada, dove portavo la mia monosala, sono sempre meno e sempre più poveri”. Ma le reazioni del pubblico erano così affettuose: “ci ringraziavano e abbracciavano. Una coppia che si è conosciuta nella mia Alfa Romeo poi si è addirittura sposata”. E allora il programma di Francesco, per ora, è di rimettere in strada la sua Cortomobile, il 2 e 3 luglio al Treviglio Vintage (fiera che si svolge in provincia di Bergamo). Da lì, organizzare qualche altra proiezione a Milano. “Ma se dovessi confessare il mio desiderio, sarebbe quello di coinvolgere le piccole librerie”. In che senso? Con delle proiezioni il cui fil rouge è il “corto”: mostrare cortometraggi che abbiano come tema la “cortoletteratura” (romanzi brevi) nella sua Cortomobile.